Un caffè con Diego Galdino, l’autore de “L’ultimo caffè della sera”

Diego Galdino vive a Roma e ogni mattina si alza alle cinque per aprire il suo bar in centro dove tutti i giorni saluta i clienti con i caffè più fantasiosi della città.

L'ultimo caffè della sera Diego Galdino

Di recente abbiamo avuto la fortuna di intervistare Diego Galdino, il famoso scrittore e barista romano autore de “L’ultimo caffè della sera” (Sperling&Kupfer), l’ultimo imperdibile romanzo seguito de “Il primo caffè del mattino”.
Galdino torna in libreria con una storia bellissima: c’è tutta la sua Roma in questo libro. C’è l’aroma dei caffè più fantasiosi, ci sono tutti (o quasi) i clienti amici del bar Tiberi che dopo “Il primo caffè del mattino” sono diventati una sorta di famiglia anche per i lettori più accaniti. E soprattutto c’è l’amore, quello vero, che non ha bisogno di gesti eclatanti per sbocciare e crescere ma che necessita solo della capacità di riconoscersi e la giusta dose di coraggio per lasciarsi andare. Il tutto raccontato come solo Galdino sa fare, col suo stile sempre gentile e garbato che arriva dritto al cuore.
Ecco di seguito l’intervista che ci ha rilasciato durante il tour promozionale de “L’ultimo caffè della sera”.

Sei da sempre barista, ma quando nasce il tuo amore per la scrittura?

“Mi sono scoperto scrittore molto tardi, da bambino scrivevo delle storie di fantascienza, affascinato da cartoni animati come Goldrake o Mazinga Z, senza però dare un seguito a questa mia vena letteraria fanciullesca, fino all’arrivo nella mia vita di una ragazza che adorava Rosamunde Pilcher, una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: “Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile”. Il titolo del romanzo era “Ritorno a casa” e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era “I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: “Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere”. Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.”

Sei stato definito il Nicholas Sparks italiano? Ti ritrovi?

“Lascio che siano gli altri ad usare per me questo appellativo, perché io non mi permetterei mai nemmeno di pensarla una cosa del genere, diciamo che mi sento più una specie di Nicholas Sparks all’amatriciana, sì insomma de noantri. Stiamo parlando del più importante scrittore di romanzi d’amore al mondo e al momento i numeri e i film tratti dai suoi libri dicono che lui è di un altro pianeta. L’ho sempre considerato un maestro e già solo essergli accostato fa di me un discepolo felice. L’ho incontrato durante un suo firma copie a Milano, io avevo appena firmato il contratto con la Sperling&Kupfer, la stessa casa editrice che pubblicava i suoi romanzi in Italia e lui quel giorno fu con me estremamente gentile e cordiale, auspicò per me un luminoso futuro letterario ed ad oggi, dopo aver pubblicato cinque romanzi con una casa delle più importanti case editrici italiane e pubblicato con successo in otto paesi europei e Sudamerica, mi piace pensare di essere riuscito a dargli ragione.“

I tuoi libri sono tradotti in molte lingue. Che effetto ti fa sapere che in tanti paesi li leggono?

“Un effetto che come direbbe lo Hugh Grant di Notting Hill sembra un po’ surreale, ma bello. Proprio ieri sera mi ha scritto un lettore che vive in San Salvador per farmi i complimenti e chiedermi se anche “L’ultimo caffè della sera” sarà tradotto in lingua spagnola finendo con un “Ti prego dimmi di sì!” La mia è un po’ una doppia vita come quella di Clark Kent e Superman. La cosa più bella è quando vengono al bar lettori dei paesi in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai. Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Poi quando gli presento Antonio l’idraulico, Pino il parrucchiere, Luigi il falegname e il tabaccaio cineromano Ale Oh Oh la loro realtà supera la mia fantasia.”

Il bar è luogo di chiacchiere e di incontri. Quanto è importante il bar nei tuoi romanzi? E nella tua vita?

“Nel bar io ci sono nato nel vero senso della parola visto che a mia madre le si sono rotte le acque dietro a quello stesso bancone dove ancora oggi io preparo i caffè, nello stesso bar ho imparato a camminare, ho detto le mie prime parole, ho fatto i miei primi compiti, mi sono innamorato. Per quanto io possa andare girando come scrittore in mezza Europa grazie ai miei libri e alla mia vita da scrittore, alla fine torno sempre a casa…ops, volevo dire al bar… Credo che il bar si presti bene come fonte d’ispirazione, perché racchiude al suo interno una galassia di persone diverse che girano intorno al bancone come i pianeti intorno al Sole, prendendo dal caffè quel calore, quell’energia che ti accompagnerà, anzi che ti farà compagnia per il resto della tua giornata. In cambio queste persone permettono, con le loro storie di vita vissuta, le loro manie, i loro caratteri simili o sempre diversi, al Sole/bancone di adempiere al suo dovere a ciò che ne rende indispensabile per se stesso e per gli altri la sua stessa esistenza. Di sicuro i miei due romanzi dedicati al bar e al caffè sono i miei romanzi più autobiografici, perché a parte l’avvenenza fisica e l’età, non posso negare che il Massimo delle due storie rappresenti me stesso in tutto e per tutto.”

E che relazione c’è tra il bar e il tuo ultimo libro?

“In realtà non era previsto che io scrivessi il seguito de “Il primo caffè del mattino, non sono un amante dei seguiti, preferisco da sempre cimentarmi in storie autoconclusive. Ma negli ultimi anni mi sono capitate un sacco di cose brutte, o almeno non belle, che hanno stravolto la mia vita e il bar di famiglia che poi è la stessa cosa. Così ho deciso di scrivere “L’ultimo caffè della sera“, come dico sempre: “per rendere leggendario l’ordinario“, perché di bar dove bere il caffè ce ne sono tantissimi e in tutto il mondo, ma come quello dove sono nato e ancora oggi continuo a fare i caffè credo ce ne siano pochissimi. Anch’io come Massimo il protagonista de “Il primo caffè del mattino ho perso un grande amico, un secondo padre. È stata una perdita, come accade nel mio nuovo romanzo, improvvisa, destabilizzante, per me e per il bar. Qualche mese dopo anche mio padre, quello vero, si è ammalato gravemente. Così sono rimasto da solo, sia fuori, che dietro il bancone del bar. A quel punto, sono dovute cambiare tante cose, ho dovuto reinventarmi e per non mandare perduti i ricordi e le persone, ho deciso di scrivere questo libro mettendoci dentro tutto, le battute e gli aneddoti che per me erano familiari, erano casa, aggiungendoci ciò che mi rende lo scrittore che sono…l’amore.”

Cosa pensi della qualità del caffè che troviamo al bar?

La qualità del caffè che troviamo al bar dipende da alcune componenti fondamentali, una buona miscela, una giusta macinatura, una macchina efficiente grazie ad una pulizia costante e ad una quotidiana depurazione dell’acqua, una tazzina ben calda, concentrazione e la passione che ci mette il barista nel prepararlo, perché l’amore rende tutto più buono.”

Quale è il tuo caffè preferito?

“In realtà preferisco il caffellatte, fatto con un caffè molto ristretto e il latte freddo. Anche se penso che per un incontro romantico il caffè ideale sia sicuramente quello alla Nutella, il più dolce di tutti. E poi è certificato che il caffè abbia tante proprietà benefiche per l’organismo, anzi alcuni dottori consigliano di berne tre al giorno. Ma come tutte le cose l’eccesso potrebbe diventare un problema. Diciamo che tre fanno bene, più di tre non tanto.“

Un’ultima domanda, cosa pensi di Starbucks in Italia?

“Confesso che pur essendo un barista vecchio stile, per non dire vintage, molto attaccato alla tradizione, sono molto affascinato da questi tipi di bar, più che altro perché penso che noi baristi italiani tendiamo a lamentarci della volubilità dei clienti di adesso che spaziano dal caffè macchiato con il latte di soia al cappuccino con il latte scremato, chiaro, tiepido e senza schiuma e allora m’immagino quelli che lavoreranno dietro al bancone di questi bar americani che hanno decine di tipi di cappuccini e non l’invidio per niente. Sono certo che di bar che fanno i caffè al mondo ce ne saranno milioni, ma come quello in cui li preparo io ce n’è solo uno.”

Ringraziamo Diego Galdino per l’intervista e, non appena saremo a Roma, passeremo sicuramente per un caffè, l’ultimo della sera o il primo del mattino!

Ti è piaciuto l’articolo? Scopri i nostri partner, o leggi il nostro articolo precedente.